Cameron rompa l’incantesimo: se Londra vuole lasciare l’Europa, ce ne faremo una ragione

Cameron rompa l’incantesimo: se Londra vuole lasciare l’Europa, ce ne faremo una ragione

Non appena ha avuto la certezza matematica di aver stracciato laburisti e sondaggisti, David Cameron ha pensato bene di rassicurare i suoi elettori sul fatto che manterrà la parola data sull’elemento cruciale che ha determinato una vittoria così netta in termini di seggi, diverso sarebbe, infatti, il discorso sulla percentuale dei voti riportati, e cioè il referendum sull’Europa.
Un tema antico, spesso solleticato con spietati cinismo ed opportunismo dagli epigoni della signora Margareth Thatcher. Quelli che hanno volutamente rimosso dai ricordi di famiglia gli scontri furiosi sostenuti dai loro padri conservatori contro un certo generale De Gaulle che, proprio, non voleva la perfida Albione tra i paesi da aggiungere ai fondatori dell’Europa.
Erano motivi economici, allora, come lo sono oggi in senso contrario. Con la differenza che, a quei tempi, però, ancora si guardava con saggia preoccupazione alle ancora recenti devastazioni portate in un’intera Europa divisa dagli egoismi nazionalistici.
Fu il conservatore Edward Heath, uomo colto e raffinato, a riuscire a centrare l’obiettivo e ad entrare alla guida del Regno Unito a vele spiegate in quella che, nel 1973, si chiamava ancora solamente Cee.
Erano i tempi in cui i giornali londinesi, legati agli ambienti tradizionalisti, cioè quasi tutti escluso “The Guardian”, nei giorni di nebbia continuavano a scrivere con sarcastica ironia che “Il continente isolato dal Regno Unito”.
Fu un amore intenso, ma di poca durata tra Europa e britannici. La loro economia era interessata al più ampio mercato europeo in via di sviluppo e di riorganizzazione. Gli americani tendevano, invece, verso una delle loro periodiche e caratteristiche ondate di riflusso su loro stessi, in un momento in cui si dicevano stanchi di continuare a pagare anche per gli altri, come avevano fatto dal dopoguerra in poi. L’entrata dunque nell’Europa del Regno Unito andava inquadrata in quel grande progetto geopolitico di respiro mondiale che doveva dare all’Occidente la famosa “seconda” gamba su cui poggiare.
A mano a mano però che passavano i giorni della signora Thatcher a Downing Street, l’Europa diventava sempre stretta. Con Reagan sull’altra sponda dell’Atlantico si aprivano nuove prospettive, anche ideologiche, per un capitalismo senza più tanti lacci e lacciuoli. Un liberismo fatto sempre più di decisionismo, di privatizzazioni e liberalizzazioni. Tanto, troppo, lontano da un’Europa continentale sinonimo di socialismo, di solidarietà sociale, di troppe teste a decidere, di una pletora di burocrati che, piazzati a Bruxelles, avevano l’ardire di mettere bocca su tutto quello che riguardava la vita dei cittadini.
Sul punto degli euro burocrati, però, come è possibile darle torto su proprio tutte le sue riserve? Ad esempio, quando al bar ci negano di prendere lo zucchero dalla zuccheriera o vogliono impedirci di mangiare il formaggio di fossa perché l’ha deciso qualche nevrotico euro burocrate che nelle brume bruxellesi perde il gusto della vita alle latitudini più mediterranee. E’ fin troppo facile chiedersi se si sono mai visti morti per strada a causa dell’uso delle zuccheriere nei bar o perché ci mangiamo cibo trattato da millenni in un certo modo, senza alcuna conseguenza per gli esseri umani.
Intanto, però, quegli stessi e fiscali burocrati di Bruxelles continuavano ai tempi di Mrs Thatcher, e continuano ancora oggi, a fare gli ossequienti di fronte ai grandi interessi costituiti ed organizzati nelle potenti lobby che a Bruxelles riescono ad ottenere in un colpo solo quello che, paradossalmente, sarebbero costretti a chiedere separatamente in tutti e 28 i paesi dell’Unione.
Così, a tutti i demagoghi nazionalisti d’Europa è facile continuare a soffiare sul fuoco ed auspicare la dissoluzione di quello che si è rivelato uno dei deterrenti più importanti contro le guerre intestine organizzate dal Vecchio continente al proprio interno per millenni.
Che cos’è la storia che abbiamo studiato a scuola fino alla Prima ed alla Seconda Guerra mondiale, mondiali entrambe ma pur sempre innescate in Europa, se non una lunga sequenza di battaglie e morti tra europei?
Per sostenere l’utilità, l’opportunità e la necessità dell’Europa non è necessario scaldarsi più di tanto e ricorrere ai grandi padri dell’ideale europeo: Adenauer, De Gasperi e Schumann. Con tanti altri, tra cui anche britannici. A partire da Wiston Churchill che per primo, nel 1946, parlò della necessità di dare vita agli “Stati Uniti d’Europa”. Lo avranno detto a David Cameron?
Questi ragionamenti, però, sono del tutto inutili. I britannici oramai si sono convinti che a loro l’Europa non conviene. Nonostante ne traggano dai grandi benefici, vorranno andarsene. Probabilmente, il referendum indetto da Cameron si terrà e finirà con il sancire la vittoria postuma del… Generale De Gaulle.
E’ chiaro che già da oggi partiranno appelli e proclami affinché ciò non accada. Gli europeisti di tutta Europa, anche quelli che l’esaltano di giorno e l’affossano di notte, sono pronti a mostrarsi affranti e disperati.
C’è, invece, da chiedersi se questo referendum non venga a proposito. Per togliere di mezzo tutte le ambiguità e gli opportunismi che molti dei leader europei, quelli che si dicono europeisti, continuano a coltivare.
Dirò un eresia, ma credo che i veri e convinti sostenitori dell’Europa devono lasciare che i britannici facciano il loro bel referendum e devono essere pronti ad accettarne il risultato e, soprattutto, a coglierne i vantaggi destinati paradossalmente a derivarne.
La mia tesi, da convinto europeista, è che se i britannici vogliono andarsene, che vadano.
Ovviamente, lo faranno dopo avere riflettuto bene sull’opportunità di continuare a seguire i facili richiami nazionalistici, pieni zeppi di retorica ed opportunismo. A fronte delle conseguenze che potrebbero influire sul loro interscambio commerciale, sul futuro della City, divenuta anche grazie all’Europa la piazza finanziaria più importante del mondo, sul rischio di tornare ad essere “periferici” rispetto ad un’Europa che sarà sempre più grande ed importante del Regno Unito, preso singolarmente.
Le ripercussioni, enormi ripercussioni, riguarderanno la politica verso il Mediterraneo e la Russia, tanto per fare solamente qualche esempio delle tante questioni destinate ad influire anche sul futuro dei britannici.
Per gli europeisti veri tutto ciò potrebbe significare finalmente la fine dell’ambiguità di un’adesione che dello stare nell’Unione europea intende prendere solo i vantaggi mentre tende a liberarsi dei pesi legati alla perdita di sovranità monetaria che altri, come noi italiani, hanno subito come scelta definitiva al momento di entrare nell’Euro, dai britannici e dai danesi non adottato.
Oppure, come dimostrano le dichiarazioni recenti di Cameron in materia di immigrazione, la fine di una continua opera di indifferenza nei confronti di una comune politica estera. Il caso della Libia e della Siria sono sotto gli occhi di tutti, così come la scottante questione dei migranti tra le sponde del Mediterraneo.
La fine di tutte queste ambiguità porterà, inevitabilmente, alla fine anche delle ambiguità di tedeschi, francesi ed italiani. Di tutti quelli che continuano di giorno a tessere le lodi e ad auspicare la nascita dell’Europa mentre la notte minano ogni possibilità che una vera Europa, quella dei cittadini e della gente, possa realmente sorgere una buona volta, così come volevano i padri fondatori.

Giancarlo Infante