AAA: direzione politica cercasi per un’ Europa gigante senza testa…politica – La leadership tedesca sembra ridursi al predominio economico, senza un progetto politico che richiami almeno in parte l’idea dei padri fondatori

AAA: direzione politica cercasi per un’ Europa gigante senza testa…politica –    La leadership tedesca sembra ridursi al predominio economico, senza un progetto politico che richiami almeno in parte l’idea dei padri fondatori

L’accordo sul nucleare iraniano raggiunto il 14 luglio scorso non è altro che l’ultimo risultato della politica estera dell’amministrazione Obama, che alcuni osservatori hanno catalogato come “realismo dissimulato”. La strategia complessiva del primo presidente americano di colore è infatti opaca, ma si sta recentemente delineando in maniera chiara e ci riguarda da vicino.

Primo. Sottrarre l’America dall’impegno mediorientale, riabilitando l’Iran come attore internazionale. L’idea di fondo è quella di creare un ordine regionale basato sull’equilibrio di potenza, in cui alleanze a geometrie variabili dovrebbero consentire agli Stati Uniti di non intervenire direttamente (e  dispendiosamente) bensì guidando “da dietro”.

Secondo. Inserire la prima potenza economica mondiale in un sistema di partnership in cui avrebbe un ruolo predominante. Questo strategia si manifesta nei due cantieri aperti con il Transatlantic Trade and Investement Partneship (TTIP), per il quale le trattative con l’Unione Europea sono ancora in corso, e il Trans-Pacific Partnership (TPP).

Quest’ultimo, in particolare, comprende la maggioranza delle potenze asiatiche ad esclusione della Cina, con l’implicito obiettivo di limitarne l’ascesa economica e geopolitica nell’area. E’ proprio in questa regione del globo, in cui si concentrano le maggiori prospettive di sviluppo mondiale, che Obama vuole indirizzare l’influenza americana.

Terzo. La strategia obamiana riassunta dall’espressione “Pivot to Asia”, in funzione anticinese, prevede anche il disimpegno americano dall’Europa, di cui fin dal dopo guerra gli Usa sono stata la potenza garante e influente.

Basta ricordasi la gestione della recente crisi ucraina, durante la quale Obama ha tacitamente delegato alla Germania (e in misura minore anche alla Francia) a trattare con la Russia, raggiungendo alla fine il trattato di pace conosciuto come Minsk II.

Il ritiro statunitense dal Vecchio Continente vuol dire pertanto che l’America non v’interverrà più (direttamente) come attore principale, questo a prescindere dal fatto che l’Unione Europea, e la Germania all’interno di essa, siano pronti a prenderne il posto o meno.

Questo è un problema? Non necessariamente. Eppure, visti gli sviluppi della crisi greca, l’incapacità di sviluppare una solidarietà europea e i governi riuniti nel Consiglio europeo ostaggi delle opinioni pubbliche nazionali, la preoccupazione nasce spontanea.

La leadership tedesca sembra ridursi al predominio economico, senza un progetto politico che richiami almeno in parte l’idea dei padri fondatori. Da qui nascono incomprensioni e accuse reciproche.

La più recente delle quali fatta dall’ex-ministro greco Varoufakis al ministro delle finanze tedesco Shauble, incolpato di non aver mai realmente voluto trattare con il governo di Atene, al fine di causare così l’espulsione della Grecia dall’euro. Sullo sfondo si punta ad una germanizzazione dell’Europa che prevedrebbe un commissario europeo alle finanze pubbliche con potere di veto sui bilanci nazionali.

Ancora più pesante la dichiarazione di Jurgen Habermas, considerato uno dei massimi filosofi viventi, che ha imputato alla cancelliera Merkel di aver “bruciato” nelle trattative con la Grecia tutto il capitale politico che la Germania ha faticosamente ricostruito dal dopo-guerra a questa parte.

Che l’Europa desse l’impressione di non saper (o voler) fare da sola lo si è visto sin dall’inizio della crisi del debito, quando si è voluto ammettere nelle istituzioni dedite al salvataggio degli Stati in crisi, l’agognata Troika, il Fondo monetario internazionale, invece di far rimanere il problema di natura esclusivamente europea.

Proprio sul comportamento dell’istituzione con sede a Washington si dimostra il crescente allontanamento americano dall’Europa. Gli Stati Uniti, che hanno sempre controllato il Fmi, non vogliono per ragioni geopolitiche l’uscita della Grecia dall’euro, fatto che la spingerebbe inevitabilmente nell’abbraccio di Putin.

Tuttavia, l’attuale dirigente Christine Lagarde, si è dimostrata recentemente fra i creditori più inflessibili durante le trattative elleniche, dal momento che a breve il suo incarico sarà sottoposto alle elezioni e gli Stati del Terzo Mondo non gradiscono l’attenzione “eccessiva” dedicata alla Grecia in quanto non è considerato un Paese propriamente povero.

In ultima analisi, come ha fatto recentemente notare l’eurodeputato Curzio Maltese, il grande assente nel dibattito sulla crisi greca è stato proprio colui che dovrebbe rappresentare un’alternativa all’attuale concezione di Europa condotta dal Partito Popolare Europeo (PPE) a leadership tedesca, il Partito Socialista Europeo (PSE).

Sia Renzi, sia Hollande, gli unici leader socialisti di peso, si sono alla fine appiattiti sulle posizioni della Markel, scomunicando Tsipras per paura di perdere credibilità sui mercati finanziari.

Il partito socialdemocratico tedesco (Spd), al momento al governo con il centrodestra della Cancelliera Merkel, ha approvato in pieno la linea dell’esecutivo sul caso ellenico.

Allo stesso tempo il presidente dell’Spd e vice-cancelliere Sigmar Gabriel, così come il candidato alla Presidenza della Commissione e attuale Presidente dell’Europarlamento, Martin Shultz, hanno in diverse occasioni scavalcato a destra il partito conservatore promuovendo nell’opinione pubblica teutonica i peggiori stereotipi sui greci “fannulloni”.

Qualcuno fa giustamente notare che la Germania cerca di applicare in Europa, oltre alle sue ricette economiche di rigore, anche il suo sistema politico, basato sulle grandi coalizioni e il compromesso costante fra le due principali formazioni politiche.

Questo tentativo di “germanizzare” l’Europa si sta però rivelando fallimentare su tutti i campi: ai disastri dell’austerità, che non ha fatto altro che rendere il debito greco meno sostenibile, si aggiungono quelli politici sempre più evidenti causati dalla simbiosi PPE e PSE.

Un sistema concepito senza alternative chiare, in cui i principali partiti invece di ricercare l’alternanza tendono ad assomigliarsi sempre di più, è infatti incomprensibile nel resto del Vecchio Continente e non farà che alimentare le forze euroscettiche.

Luca Bertuzzi