22 Novembre 1963. A Dallas é ucciso Kennedy. Muore una speranza, nasce un mito

22 Novembre 1963. A Dallas é ucciso Kennedy. Muore una speranza, nasce un mito

Il 22 Novembre 1963 muore una speranza e nasce un mito. Il Presidente John F. Kennedy,  con la drammatica morte di Dallas,  diventa una delle più grandi leggende della storia contemporanea. Una leggenda anche amara. Per quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Per il disappunto di un’occasione in procinto di essere colta  e, invece,  inspiegabilmente ed improvvisamente troncata.

Il giovane Presidente richiamava tante speranze. Incarnava lo “spirito” dell’America e la ricerca del “sogno” americano destinato più che mai, anche grazie alle suggestioni legate alla sua persona, a diventare un sogno mondiale.  Di quelle speranze, Kennedy sembrava essere la riproposizione concreta. Giovane, ricco, intelligente.

Non a caso era stato proprio lui a  parlare di “nuova frontiere”. Quella frontiera che lo storico Frederick J.Turner aveva impresso nell’immaginazione di tanti americani, soprattutto tra i giovani, evocandone  in maniera  affascinante il ruolo fondamentale svolto nella nascita e nella costruzione degli Stati Uniti,  oltre che dello spirito della sua gente.

La frontiera rappresentata dalle grandi praterie che per due secoli avevano continuamente riproposto nuove sfide e spostato sempre più verso il West l’orizzonte ed i nuovi traguardi da raggiungere. Una sfida in cui si erano forgiati i tanti popoli che avevano contribuito alla nascita della più grande potenza mondiale. Tra questi gli irlandesi. Spicchio cattolico di quella realtà anglosassone che ha finito per imprimere il marchio più significativo, prima,  ai 13 stati fondatori e, poi, a tutti gli altri che si sono a mano a mano aggiunti, fino alla completa definizione degli Stati Uniti d’America che conosciamo oggi.

John F. Kennedy faceva parte di questa realtà cattolica che a Boston aveva creato una propria enclave svolgendo una funzione di guida per una buona parte della società americana della costa orientale. Quella dei padri fondatori. Una realtà, quella dell’intero Massachusset, fortemente legata, ancora oggi, alla forza del clan dei Kennedy. In grado di resistere fino ai nostri giorni con i Kerry, i Cuomo,  nonostante le tante vicende che negli ultimi 50 anni hanno colpito una delle famiglie più potenti del mondo.

marcia diritti civili usa

Resiste nel rappresentare la punta più avanzata nella difesa dei diritti civili e sociali, nella ricerca del dialogo anche in politica estera piuttosto che nello scontro, resiste nel sostegno all’innovazione ed alla nuova economia. I “kennediani” sono ancora oggi alla guida del pensiero “liberal” ed innovatore negli Stati Uniti.

Tutto ciò è dovuto anche ai pochi mesi della presidenza di John F Kennedy ed alla grande suggestione che egli seppe lanciare in ogni parte dell’America, e non solo.

John Kennedy raccolse un paese che aveva bisogno di ritrovare una nuova identità in un mondo in trasformazione, di veder rilanciato lo spirito dello sviluppo, della solidarietà e dell’apertura al nuovo. Invitò a riprendere lo spirito della sfida della frontiera richiamando la necessità di un profondo rinnovamento e la riproposizione del vecchio “sogno” verso nuove direzioni.

Verso il cielo, con il programma spaziale culminato con lo sbarco del primo uomo sulla Luna. Verso i diritti civili,  con l’avvio del superamento delle politiche di discriminazioni dei negri e favorendo l’integrazione razziale e delle tante minoranze che continuavano ad assicurare innovative risorse umane e culturali. Verso l’America Latina, con il lancio della strategia dell’Alleanza per il progresso. L’introduzione della democrazia e la lotta alla povertà dovevano sostituire l’arbitrio dei tanti dittatori e dittatorelli  e lo sfruttamento che aveva trasformato quello che Teodoro Roosvelt definiva il giardino di casa degli Stati Uniti in una terra povera ed ostile agli americani, intenzionata a liberarsi degli americani. Cosa stava altrimenti a rappresentare Fidel Castro?

Kennedy giunse alla presidenza dopo un duro scontro elettorale con la vecchia America che ancora resisteva al cambiamento. Anche all’interno del suo Partito democratico non mancavano diffidenze, se non ostilità. L’apparato istituzionale guardava con sospetto questo giovane senatore intenzionato a modificare vecchi assetti e vecchie abitudini consolidate dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e dopo gli otto anni di guida del generale Dwight Eisenhower e del suo vicepresidente Richard Nixon.

Diventato l’emblema del rinnovamento, subito, però, John Kennedy conquistò il sostegno soprattutto dei giovani. Non solo nel suo Paese. In tutto il mondo egli veniva guardato, assieme al Papa Giovanni XXIII e al Presidente sovietico Kruschev,  con una forte speranza nel cambiamento e nella crescita. Erano del resto gli inizi di quegli anni ‘60 che avrebbero portato nel mondo occidentale i grandi fermenti della contestazione giovanile e nel sistema sovietico la rivoluzione di Praga e l’organizzazione del dissenso anticomunista, in Russia e nei paesi satelliti.

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Kennedy seppe capire l’importanza dei nuovi mezzi di comunicazione. In molti ritengono che la sua stessa vittoria di misura su Richard Nixon alle elezioni presidenziali fu quasi tutta dovuta al confronto televisivo che, per la prima volta nella storia, era stato organizzato tra i due candidati alla più importante carica politica mondiale.

Alla televisione si deve anche la prima partecipazione “collettiva” ad un evento mondiale come quello costituito dalla sua uccisione in diretta, a Dallas. Tutti hanno in mente le immagini di quei colpi di fucile che lo raggiungono alla testa e l’istintivo, quanto inutile, tentativo della moglie, Jacqueline, di raccogliere una parte di cranio portato via da uno dei proiettili. E, poi, il figlioletto John John che al cimitero degli eroi di Arlington saluta la bara del padre portando la manina alla testa, alla maniera dei militari.

Il mondo, insomma, assistette per la prima volta, in contemporanea,  ad un grande evento in tutti e cinque i continenti. Vide i risultati di quello che immediatamente assunse le dimensioni di un complotto che privava tutti di una delle più grandi speranze per raggiungere un mondo di pace. Fresche erano le immagini dei bagni di folla che Kennedy aveva avuto a Berlino e a Roma e Napoli, dove la gente travolse i cordoni della polizia per salutarlo come se fosse stato un divo del cinema.

Il mondo intero, così rimase sgomento e capì immediatamente la forza di quel cambiamento che il giovane Presidente stava portando e contro il quale consistenti interessi si erano organizzati fino al punto di organizzarne l’uccisione. In maniera confusa, ma non per questo meno forte, si capiva come si stesse dispiegando un’opera di depistaggio che ancora oggi, a 50 anni di distanza, ha impedito di vedere giudiziariamente conclamato il nome dei mandanti e degli omicida materiali.

I nemici di John F. Kennedy erano numerosi. Dentro e fuori il Paese. In primo luogo tra i tanti gruppi razzisti sparsi per tutto il Sud degli Stati Uniti e contro i quali era stata impegnata per prima volta tutta intera la forza dello Stato federale. Nonostante la palese ostilità del potente capo della FBI, John Edgar Hoover.  Poi,  la mafia, anch’essa duramente combattuta assieme al fratello Robert. Anche lui destinato ad essere ucciso cinque anni più tardi alla vigilia di quella che sarebbe probabilmente stata la sua vittoria nella corsa alla presidenza e, quindi, ad un passo dalla possibilità di fare piena luce sul delitto di John.

Vi erano anche gli esuli cubani anticastristi che rimproveravano a Kennedy un indebolimento del sostegno dell’amministrazione di Washington ai piani, ufficiali e clandestini, organizzati in continuazione per arrivare al rovesciamento del regime di Fidel Castro.

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Kennedy venne ucciso nel pieno del suo impegno per rinnovare gli Stati Uniti e la loro immagine mondiale. Probabilmente sono vere le considerazioni di quanti dicono che i suoi risultati concreti sono stati scarsi. E’ da vedere, però, quale altro uomo politico sarebbe capace di trasformare un paese come gli Stati Uniti in soli 30 mesi.

E’ vero che subì la proposta della Cia di tentare lo sbarco a Cuba sfociato nel disastro  della Baia dei porci. Un’operazione già organizzata da tempo che lui, però, ebbe il torto di avvallare. E’ vero che inviò migliaia di consiglieri militari in Vietnam dopo, però, aver tolto il sostegno al militare Ngo Dinh Diem diventato, di fatto, dittatore del paese dell’Indocina. Così, in molti dicono che fu lui ad iniziare la guerra del Vietnam cosa che, invece, meriterebbe una ben più ampia riflessione.

Kennedy fu anche l’uomo dello scontro- incontro con l’Unione Sovietica. Si assunse il grande rischio del confronto nucleare con l’Unione Sovietica per la questione dei missili cubani. Un braccio di ferro che vinse, ma che lo convinse anche della necessità di avviare quella politica del disarmo nucleare  concordato che sarebbe poi stata perseguita dai suoi successori.

Kennedy, alla fine, nonostante le ombre su taluni aspetti delle sue vicende politiche e personale, così come hanno tutti gli esseri umani, riceve nella Storia una collocazione adeguata alla sua intelligenza ed alla sua capacità di indicare agli altri, nel suo caso al mondo intero, una strategia credile e coinvolgente perché in grado di toccare quelle corde che stanno alla base dell’essenza più profonda di ogni essere umano.

Giancarlo Infante